TRAPPOLA ISTITUZIONALE

Per quanto plateale, la strategia adottata dalla amministrazione

regionale per intorpidire le regole democratiche e in particolare lapartecipazione dei cittadini non incontra ostacoli e, pur sempre,trova un valido alleato nei tengo famiglia dell’informazione locale.

Giorni addietro, la massima autorità in materia di gestione delle acque edi difesa dalle alluvioni, cioè la cosiddetta “autorità distrettuale di bacinodelle alpi orientali”, ha indetto a Udine un incontro di partecipazionepubblica per l’esame dei nuovi piani di gestione delle acque e del rischiodi alluvioni. E in proposito è bene ricordare che tale Istituzione, chesostituisce a tutti gli effetti il benemerito “Magistrato delle acque” è giàstata a più riprese in Regione a manifestare le sue funzioni costitutive eogni qualvolta l’amministrazione serracchianea aveva pensato bene diaccodarsi per accreditare e contrabbandare quel nefasto t“Piano di Tuteladelle acque” che pure abbiamo ferocemente contrastato in ogni sede emodo possibile.Questa volta che l’Autorità distrettuale veniva a presentarsi nella suapiena operatività, ben decisa a richiedere la partecipazione deglieffevugini, non le è stato concesso di esibirsi nel consueto ed ampioauditorium della Regione bensì nel più appartato e neutrale PalazzoBelgrado. Né alcun organo di informazione, di quelli sempre pronti aversare fiumi di inchiostro sulla festa del tiramisù e sulla sagra dellasalciccia, si è peritato di darne notizia. Né tanto meno alcun funzionarioregionale o assessore di sorta ha pensato di mettervi la faccia per dare ilbenvenuto all’illustre Autorità e trarne qualche utile ammaestramento.

Non sono giunti nemmeno quei funzionari che pure si erano recati a frottea Venezia, dove nel maggio scorso l’Autorità aveva preannunciato la suavenuta in Regione. Forse per loro quella occasione era stata più attrattiva,se non altro per incassare l’indennità di trasferta, salvo poi attendere la pausa caffè per tagliare la corda e sciamare per le calli lagunari, senzadare alcun contributo alla discussione finale, né partecipare alla inchiestaformulata in quella occasione. Ebbene a dispetto della latitanza della Regione, l’incontro udinese è statofertile di contributi e di importanti valutazioni, non ultime quelle che dapiù parti sono state le denunce nei confronti dell’operato regionale che adetta dei convenuti poco si correla con gli indirizzi e le analisi formulatedall’Autorità di bacino delle Alpi Orientali e quindi dalla stessa ComunitàEuropea a cui l’Autorità stessa si ispira con assoluta precisione. Troppoevidenti le gravi e non sanzionate contaminazioni degli acquiferi, leincoerenze gestionali, le lacune conoscitive, le incongrue misure apresidio della qualità delle acque di falda e di superficie; troppo evidenti lecontinue manomissioni del deflusso minimo vitale e ancor più del deflussoecologico quali sono stati normati dalla Comunità Europea; troppoevidente lo scellerato ricorso agli sghiaiamenti e ad opere di regimazioneinadeguate, ancorché dannose e imposte senza il minimo coinvolgimentodelle popolazioni locali, bensì sull’onda della eterna emergenza chepermette di scavalcare le procedure ordinarie e concedere affidamentisenza alcuna gara di appalto.

Di tutto ciò, delle puntuali deduzioni dell’Autorità l’unica evidenza raccoltadal quotidiano locale è stato il siparietto finale del sindaco di Latisana cuinon è parso vero di poter esibirsi nella consueta richiesta di coprire anni eanni di negligenze e future cementificazioni con la realizzazione diassurde opere di laminazione da imporre a scapito delle comunità poste amonte e della natura stessa del fiume. Della impegnativa opera sviluppatae puntualmente descritta dalla Autorità nemmeno una parola. Non unaparola sulla campagna volta a garantire il successo della partecipazionepubblica alla elaborazione, al riesame e all’aggiornamento del Piano diGestione delle risorse idriche. Un piano vitale anche alla luce dei mutamenti climatici che incombono sulla umanità, eppure il cronista non ne ha fatto cenno, con l’effetto di essere in perfetta sintonia con l’ignavia regionale che vuole coltivare il proprio orticello senza che nessuno cimetta il naso.Noi abbiamo chiesto all’Autorità persino un maggiore coinvolgimento dei portatori di interesse con conferenze preparatorie estese ad ogni bacino montano della nostra Regione per cogliere al meglio quei saperi e identificare quelle criticità assolutamente peculiari, quindi irrinunciabili.

Ebbene, noi siamo schifati dal disinteresse di questa Regione e dei suoi lacchè; in suo nome con le scuse chiediamo al segretario generale dell’Autorità, l’ottimo ing Baruffi, di non recedere dalla pianificata partecipazione, perché essa stessa è un presupposto inalienabile della legalità e tale da rappresentare una precisa volontà della Comunità Europea di cui, fino a prova contraria, fa parte anche la nostra Regione. Insomma siamo alle solite, e tuttavia non vogliamo rassegnarci di fronte ad un andazzo che nessuno intende sanzionare o perlomeno moderare.

Ci riferiamo in particolare al solito problema della trasparenza dei procedimenti e alla mancata partecipazione del pubblico ai processi decisionali: il tutto condito dalla assenza di una informazione che possa definirsi tale. Soppressa a tutti gli effetti Agenda 21 e con essa traditi gli accordi sottoscritti dall’Italia alle Nazioni Unite è bastato introdurre un filtro all’unico, sia pur potenziale, processo di valutazione aperto a pubblico: la VIA, ovvero la Valutazione di Impatto Ambientale. Ecco allora introdotta la cosiddetta “procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA“, che con buona pace di tutti viene affidata a mani sicure e ad una parvenza di partecipazione alle osservazioni, quando dell’opera in questione non viene nemmeno richiesta la presentazione del progetto.E così facendo il piatto è bell’ e servito, vista l’immancabile decisione di non andare oltre con la Valutazione dell’Impatto Ambientale, e ciò indipendentemente dalla complessità del caso, dai vincoli di legge, dalla insalubrità, dall’impatto visivo o dalla presenza dell’ambientalista di turno che si limita ad abbaiare alla luna per darsi una qualche visibilità, non certo per evitare la sconfitta del buon senso.

Ormai questa è diventata una prassi incontrastata, tanto più per il fatto che l’unico ricorso possibile è di natura onerosa e di per sé destinato alla sconfitta in seno ad un Tribunale Amministrativo Regionale refrattario ad ogni condanna della pubblica amministrazione. Di esempi ne abbiamo a iosa: i dragaggi della laguna di Marano, lo sghiaiamento e la manomissione del Cellina, l’inceneritore di Manzano, le ripetute centraline idroelettriche nei corsi idrici della montagna e non solo… Senza poi contare la puntuale distrazione delle Procure! E allora come non ricordare l’incontro avuto giorni addietro con il direttore dell’ente di gestione del servizio idrico e fognario dell’Isontino? E’ stato un incontro informativo volto a conoscere il progetto del nuovo sistema fognario, che recapitando in mare il depurato, taluni chiamano tubone in ricordo dell’analogo, nefando scarico a mare sangiorgino. Un direttore educato, competente e per nulla reticente ha descritto i contenuti di un progetto tutto sommato condivisibile. Ma visto il fatto che la depurazione finale avrebbe permesso la restituzione di un’acqua sostanzialmente potabile, ci siamo chiesti che senso avesse avuto la necessità di veicolarla nei fondali del golfo di Trieste mediante l’ennesima e costosa condotta sottomarina, quando per converso sarebbe stato conveniente e opportuno destinarla alle funzioni irrigue e al consumo delle industrie locali, che attualmente attingono il loro fabbisogno alle riserve di acqua potabile. E allora è stato del tutto naturale chiedersi come mai, a dispetto dell’ingente impegno finanziario messo a carico degli utenti, a nessuno fosse balenata l’idea di mettere a frutto la depurazione e al più proteggere le nuove condotte interrate dai possibili urti accidentali. Altro non si sarebbe trattato che dare vita alla tanto declamata economia circolare e le questioni avrebbero dovuto emergere a tempo debito nelbcorso di un dibattito pubblico, o perlomeno nel corso del confronto previsto nella Valutazione di Impatto Ambientale. Eppure alla fin fine nessuno ha potuto farsene carico… per il semplice fatto che la Valutazione di Impatto Ambientale non c’è mai stata: se ne sono sbarazzati perché il

solerte funzionario addetto alla “procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA“ a suo tempo aveva decretato che non serviva! E’ inutile ricordarlo: si è creato un vero e proprio gorgo istituzionale fattobdi ignoranza, cialtronaggine e malafede, tanto nocivo da incidere sulla nostra salute, sul nostro portafoglio e in generale sulla tenuta dell’ordine democratico. Ai pescatori di Marano che non hanno più pesci da pescare e vongole da raccogliere raccontano che non è colpa del depuratore di Lignano, che la salmonella viene dalla luna e che oltretutto mancano quei nutrienti che una depurazione troppo spinta sottrae ai poveri abitanti del mare. Intanto chi ha piantato nel cuore della laguna una enorme cassa di colmata piena di veleni con evidenti fini speculativi se la ride da impunito insieme a quei simpaticoni dell’ARPA regionale. La denuncia formulata da 17 coraggiosi maranesi nel lontano 2010 e corredata da una serie di impressionanti analisi chimiche sui veleni della colmata che ad ogni pioggia tracimano in laguna, è finita nel dimenticatoio della Procura di Udine.

Tibaldi Aldevis
Comitato per la Vita del Friuli Rurale

Lascia un commento